sabato 16 agosto 2008

O, l'impia di Pechine? si!

Scesero dall’autobus ebbri di felicità. La luminosità del sole, che si stendeva chiarissima su tutta la piazza, rendeva difficile se non problematico alzare lo sguardo oltre la misura d’uomo. Se non altro si potevano ammirare in tutta la loro storicità le piastrelle di marmo che formavano la piazza medesima, un enorme spazio di circa 100 metri di lato delimitato da palazzi rinascimentali e romanici che ospitavano le sedi istituzionali, una chiesa gotica, e un tribunale in puro stile ellenico. Al centro della piazza, un obelisco raffigurante Silvius IV, con la sua divisa da Re del Parlamento ed avvolto addosso una toga sul modello romano. A fianco, ma non troppo vicino per non innervosire i vigili, al momento tuttavia assenti, un chioschetto ambulante che vendeva panini, bibite, birre, patatine e d’estate pure gelati. Lo trascinava un signore di Pozzuoli.
L’autobus aveva fatto capolinea, fermandosi sul lato destro della strada che fiancheggiava la piazza, la quale era al momento sprovvista di nome perché una riunione dei Vertici della Città ne stava decidendo la prossima intitolazione.
I passeggeri erano scesi, altri erano già saliti, in attesa che il conducente fumasse le sue due sigarette nei dieci minuti di sosta, per sfuggire al caldo mattutino, visto che il mezzo privato a funzione pubblica era dotato del moderno sistema di comfort denominato “aria condizionata”.
Terminate in fretta le sigarette, e con una sete non indifferente, Ciro Cerla, l’autista, risalì sulla vettura mettendola in moto, e questa si avviò proseguendo sulla strada, lasciando che la vista della piazza fosse appannaggio dei soli specchietti retrovisori. In particolare, di quello di destra.
- Ma che scoppiato! – disse il signore di Pozzuoli, senza che nessuno potesse ascoltarlo, e continuò poi pensando fra sé: “si fosse fumato una sigaretta di meno, o al limite fumando e camminando insieme, sarebbe arrivato da me, si comprava l’acqua e stavamo tutti felici. Decisamente uno scoppiato. TSK!”.
Camminavano per la piazza ebbri di felicità. Di cosa esser felici, visto il caldo, visto che non c’era un metro quadro d’ombra né una panchina per sedersi, non lo sappiamo ancora. Loro intanto, camminavano. Ad un certo punto, però, come colti da raptus collettivo, o da sincronismo preprogrammato, ecco che tutti insieme cacciarono dalle loro borsette, tasche, comunque sia vani portaoggetti a portata di persona, degli strumenti tecnologici capaci di catturare dentro di sé l’immagine della realtà semplicemente premendo un bottone o al limite due; tali gad-getz erano definiti “macchine fotografiche digitali”. E, disperdendosi con ordine nella piazza, ma a macchia d’olio, ognuno con la sua prospettiva, ciascheduno godendo della visuale che più gli aggradava, o che si erano precedentemente imposti, iniziarono a pigiare freneticamente sui suddetti bottoni delle macchinette; e più pigiavano, più sorridevano.
Quando si accorse di loro, anche il signore di Pozzuoli iniziò a sorridere.
- Ecco i miei polli! - disse il signore di Pozzuoli, senza che nessuno potesse ascoltarlo, e continuò poi pensando fra sé: “fotografate, fotografate pure, che quando meno ve l’aspettate la canicola di questo compagno sole scioglierà voi e i vostri telematici gingilli…e lì casca l’asino!”, e sorrise per via del detto proverbiale che aveva elucubrato. “Ve li devo triplicare i prezzi, ve li devo! UECK!”. Sorrise, ritornando subito serioso per motivi che non stiamo qui a indagare né tantomeno a sindacare. Il signore di Pozzuoli, per quanto si può intuire non proprio una persona a modo, avrà pur diritto ai cazzi suoi.
Ed è pur vero che la sapeva lunga, il marpione. Difatti, dopo tonnellate di clic, litri e litri di sorrisi, dai volti delle persone ebbre di felicità cominciarono ad uscire litri e litri di sudore. Senza scomporsi, e soprattutto senza mai smettere di sorridere, si radunarono in gruppo in un formica-style, e, indicato il chiosco con la punta dei loro diti indici, lo circondarono nel breve volgere di qualche secondo. Lo stesso tempo che fu necessario agli individui presenti nel palazzo rinascimentale, tutti vestiti in maniera uguale, con delle varianti per quanto riguarda le cravatte e le tonalità del grigio o del blu della “divisa”…dicevamo, lo stesso tempo che codesti signori impiegarono per accordarsi sul nuovo nome della piazza. Accordo unanime scaturito da motivazioni tutt’altro che etiche o morali. Comunque, non essendo noi presenti all’assemblea preposta a questo compito, resta chiaro come le nostre non siano altro che malelingue. Il dato di fatto è che la piazza aveva un nome, e quindi d’ora in poi dovremo stare attenti a scriverla con la lettera maiuscola; non sia mai che qualcheduno erudito se ne voglia. Tuttavia, l’ufficializzazione del nome sarebbe arrivata solo nel primo pomeriggio, e non essendoci giornalisti o civili presenti all’assemblea oltre ai legislatori, è chiaro che ci toccherà aspettare.
Quasi quasi, facciamo un salto anche noi dal signore di Pozzuoli, magari una birra e un panino e se siamo fortunati ci scappano pure due chiacchiere. Ovviamente, però, dobbiamo aspettare che i sorridenti di felicità abbiano terminato di essere allegramente spolpati dalla vecchia canaglia puteolana.
Nel frattempo, leggerò “The rime of the Ancient Mariner” di Samuel Taylor Coleridge, in inglese, perché rende di più, e in piedi, perché panchine in piazza non ce ne sono, come vi dicevo poc’anzi.
It is an ancient Mariner,
And he stoppeth one of three.
«By thy long grey beard and glittering eye,
Now wherefore stopp’st thou me?

The Bridegroom’s doors are opened wide,
And I am next of kin ;
The guests are met, the feast is set:
May’st hear the merry din.»

He holds him with his skinny hand,
«There was a ship,» quoth he.
«Hold off ! unhand me, grey-beard loon !»
Eftsoons his hand dropt he.

He holds him with his glittering eye—
The Wedding-Guest stood still,
And listens like a three years’ child:
The Mariner hath his will.

The Wedding-Guest sat on a stone:
He cannot choose but hear;
And thus spoke on that ancient man,
The bright-eyed Mariner.

A me questa ballata piace tantissimo, ma torniamo a noi, anche perché questo è solo l’inizio…della ballata, che è lunghissima e non eravamo qui per questo.
Gli uomini felici si dileguarono ebbri di felicità dal chioschetto, lasciandolo praticamente privo di mercanzie alimentari e rinfrescanti. In cambio, avevano reso ebbro di felicità il signore di Pozzuoli, che pian pianino, sorridendo, si allontanava dalla sempre più afosa piazza (possiamo permetterci ancora di usare la minuscola).
- Che bell’affare! - disse il signore di Pozzuoli, senza che nessuno potesse ascoltarlo, e continuò poi pensando fra sé: “Grazie alle mie scaltre doti di imbonitore e venditore potrò ben concedermi una giornata al mare”.
Sicchè, ahinoi, niente panino e birra, niente chiacchiere, niente di niente. E allora me ne torno a casa e mi cucino un bel piatto di spaghetti al sugo di basilico, due birre fresche e poi una meritata pennichella per superare con facilità le calde ore del primo pomeriggio.