giovedì 26 marzo 2009

Vittime della disperazione

E’ inutile. Il linguaggio, le espressioni linguistiche non sono casuali. Sono fondamentali. E sempre con un fine ben preciso.
Il TG2 delle 13 di ieri, 25 marzo, lancia il servizio sul disoccupato che si è dato fuoco davanti al Campidoglio. Il giornalista, di cui ignoro l’identità, si lancia in una mirabolante espressione, un misto di esoterismo e giornalismo investigativo, dicendo: “l’uomo, VITTIMA DELLA DISPERAZIONE”….Perfetto! Abbiamo trovato il colpevole, la disperazione…arrestiamola subito!
Dire: “L’uomo, disperato, vittima del sistema, del precario mondo del lavoro, della disoccupazione etc.”…pareva veramente brutto. Brutto e oltraggioso. Oltraggioso verso i vertici di quel telegiornale che sono ramificazioni degli stessi che danno il pane all’ardito giornalista e sono al Governo ad emendare leggi inique e concedetemelo, altamente discutibili.
Ma in definitiva, se il discorso è questo…allora la prossima volta che potrò rubare, lo farò…perché tanto, “se l’occasione fa l’uomo ladro”, arrestiamo lei, visto che è il mandante…

p.s. Tanto per rendere l'idea del discutibilismo incalzante...leggete come scrive "LiberoNews" la notizia sopra raccontata:
Uomo si dà fuoco in Campidoglio. Hai soccorritori ha detto: "Sono disperato"

Hai soccorritori! Hai soccorritori! Hai soccorritori! Soccorretemi, soccombo!

giovedì 19 marzo 2009

LA PORTA INVISIBILE

Era una comune sera primaverile, più volte cantata da poeti, aedi e bardi.
Camminavo lungo sentieri stretti e male illuminati; vecchie lanterne la cui luce, consumata dal tempo, si spandeva fiocamente sulla strada arrivando a malapena a rischiarare le intercapedini del ciottolato romano che lastricava il secolare vicolo largo poco più di un metro.
Era un paesaggio statico che si protraeva immutato da chissà quanto tempo.
Tutt’altro che immobile, invece, era il mio incedere mentale che navigava da sé lasciando me, timoniere, alla deriva e senza controllo. Ero tremendamente confuso. L’amore perduto, il lavoro che non c’era, gli ultimi esami universitari andati male, un ginocchio praticamente da buttare e altri spettri dominavano la mia psiche mentre seguitavo per il vicolo che ora mi pareva infinito, senza uscite per fuggire o portoni che potessero accogliermi. Le luci delle lanterne si facevano sempre più deboli mentre il silenzio e la quiete esterna diventavano vieppiù insopportabili.
Sentivo il battito del cuore come impazzito e le pulsazioni del sangue nelle vene pareva le stessero facendo scoppiare, tanto forte sentivo il ritmo cardiaco nelle tempie. In questo momento di estremo panico, iniziai a correre a più non posso. Come sconvolto o forse addirittura terrorizzato, la mia mente non faceva che produrre simboli di morte e angoscia. Mi vidi ad un certo punto bloccato in un ascensore mentre il mio corpo si disfaceva cadendo letteralmente a pezzi; poi mi trasferivo improvvisamente in una sorte di prigione a cielo aperto dove mi nutrivo di carcasse umane mentre altri corpi semi-decomposti facevano lo stesso di me.
Corsi fino a quando non sentii il cuore uscirmi dalla gola e i polmoni pompare tanta aria da esplodere. Mi fermai. Da uno dei lati della stradina, sentii come un verso di civetta, ripetuto e costante, che sembrava volesse mettermi in guardia da qualcosa. Chino e con le mani sulle ginocchia, per riprendere fiato, mi guardavo attorno per capire il motivo di quel suono lugubre eppur allo stesso tempo affascinante, unico suono che avevo sentito, oltre al mio sangue che correva furibondo per tutto il corpo, da non so più quanti minuti, o quante ore.
Non notando nulla di strano nell’immobile paesaggio, a metà fra il rurale e il labirintico, cominciai a cercare di capire da dove provenisse il suono. Vegetazione e alberi, pressoché assenti. Proprio mentre guardavo in alto verso le pareti della stradina, notai con la coda dell’occhio una sorta di mano nera di una natura indefinita, che ricordava il fumo denso, che mi afferrava le palle tentando di stritolarmele. Nonostante un dolore talmente lancinante da spezzarmi il fiato e il respiro, in un lampo di lucidità capii che era meglio ricominciare a correre. Senza sapere come, attraversai quell’ombra bastarda e me la lasciai alle spalle. Sebbene riuscissi a non vederla più, quell’entità mi era entrata nel cervello: mi aveva preso la vista…riuscivo solo a scorgere l’infinità di quel vicolo stretto e senza uscite, alto come un palazzo di tre piani. Solo allora, cercando di reagire all’immobilismo e al terrore, riuscii a notare, o meglio a mettere a fuoco, una cosa che accelerò ulteriormente il mio incedere oligofrenico: a circa tre metri d’altezza, quindi per me irraggiungibili, c’erano finestre e balconi, ma non una porta attraverso la quali potervi accedere. Possibile che riuscivo a farci caso solo ora?
Disperato, mi sedetti spalle al muro e, con le mani sulla testa, iniziai a piangere. Mi sentii subito meglio; forse, anche perché aveva iniziato a soffiare una certa brezza che mi rinfrescava le tempie e mi asciugava il sudore. Mi era persino possibile percepire degli odori: sembrava muschio, unito a quel tipico odore di vecchio che molto tempo addietro si incolla alle pareti lottando strenuamente per non essere cancellato.
Ritornò nuovamente la calma, la più naturale delle sensazioni di calma; le luci delle lanterne si erano spente: ormai albeggiava. La paura mi era scivolata di dosso lasciando il posto alla rassegnazione, mi sentivo come un novello Dante che “avea la diritta via smarrita”.
Rimasi in quella posizione ancora un po’, cercando di capire come tutto quello che ero certo aver vissuto fosse stato possibile. Ricordai che avevo bevuto, la sera prima; ma non avevo fatto uso di stupefacenti, non lo faccio mai. Frugai in tasca, trovai le sigarette e ne accesi una.
Perché mi trovavo lì, e soprattutto perché quel vicolo non aveva mai uno sbocco?
Era la prima volta che ci andavo? No, ecco la risposta. C’ero già stato; e sapevo anche perché ero lì. C’era una donna che mi aspettava; che lì mi ha sempre aspettato. Tutte le volte che avevo provato ad andare da lei, mi ero perso nell’infinità di altre porte che mi si aprivano davanti, subdolamente o meno. E’ successo troppe volte, e lei alla fine si è stancata; mi ha chiuso la sua porta, facendolo nella maniera più radicale: ha chiuso tutte le altre porte, lasciandomi solo con la mia pazzia. Ora sapevo dove andare. Mi alzai, spensi la sigaretta sotto la scarpa e feci tre metri: spinsi l’aria che era di fronte a me, si aprì una porta e mi trovai in un patio che dava su un giardino. Lei era lì, seduta su un divano di vimini, con un batuffolo di pelo che le scodinzolava sulle gambe. Mi avvicinai.
“Ciao!” – dissi.
“Finalmente, ce l’ hai fatta! L’uscita è di là, segui il sentiero di fiori.”
“Vuoi che resti un po’” – le chiesi. Seccamente, mentre guardava in basso mentre scuoteva il capo, mi disse che no.
“Non vuoi dirmi niente? Non vuoi neanche sfogarti su di me?”
“No” – rispose – “Per stanotte abbiamo sofferto abbastanza.”
“Scusami, non volevo. Potrò venirti a trovare, di tanto in tanto?”
“Non lo so, tu sai dove sono, se vorrò vederti te ne accorgerai.”
“Beh, allora…ciao.”
“Addio.”
Sono passato un paio di volte per quelle strade, ma non ho mai avuto il coraggio di addentrarmici. C’erano varie porte sulla via. Poi, guardavo il cielo, ancora scuro sopra di me, e mi dicevo: “E’ buio, forse è ancora presto…”





Datato 12.06.2006. Ero all’ospedale di San Giovanni Rotondo, era la sera di Italia – Ghana, mondiali di calcio Germania 2006. Il giorno dopo mi avrebbero operato menisco e legamenti crociati della gamba sinistra.

mercoledì 18 marzo 2009

giovedì 12 marzo 2009

Trasferte Vietate al vetriolo

(La tribuna del "Comunale" di Ospitaletto)

ANSIA - Ieri, 11 marzo, l'Osservatorio sulle Manifestazioni Sportive, unitamente al C.A.S.M.S., ha deciso che numerose partite (Sorrento - Foggia; Paganese - Taranto; Juve Stabia - Cavese; Real Marcianise - Lanciano) saranno disputate senza la presenza dei tifosi ospiti. Questo perchè le tifoserie ospiti (e quelle locali) si ritroverebbero pericolosamente sulle stesse strade, coi rischi che ne conseguono. Oltre a queste, spicca a sorpresa la finale d'andata della Coppa Italia Dilettanti tra Ospitaletto e Hinterreggio (Reggio Calabria).
Durissime le proteste dei tifosi, come spiegato dal capo ultras dei calabresi, leader storico dei B.A.H. (Bad Angels Hinterreggio): "E' assurdo, abbiamo un ottimo rapporto con i seppur facinorosi sostenitori dell'Ospitaletto...dicono che non ci fanno andare perchè la compagnia del pullmann che dovrebbe condurci potrebbe inrociare la sua storica rivale che porterà tifosi altrove per l'Italia...sono previsti tamponamenti, dicono...". Gli fa eco Eraldo Pecci (omonimo dell'ex-calciatore di Pizzighettone e Bologna), capo ultras dei B.O.F. (Brave Ospitaletto Fighters): "Siamo rammaricati, volevamo mostrare ai tifosi calabresi, con cui auspichiamo a breve un gemellaggio, il nostro nuovo svincolo, pagato coi soldi del gruppo, per accedere ai bagni del campo sportivo...è un'onta, uno scempio".

lunedì 23 febbraio 2009

...il problema non è la caduta, ma l'atterraggio


Sempre di sabato, sempre alle 6 più o meno. E' l'ora e il giorno che la Bravo fa i capricci.

Vediamo oggi, viene il tizio dell'officina. Senz'altro, quando proverà ad accenderla, succederà.

La Bravo camminerà. Scontato, quasi banale.


Foggia - Pistoiese 1 - 1. Sono rimasto nella Sud del Pino Zaccheria fino alle 16 circa, fin quando cioè si è materializzata la follia sotto forma di parenti terzi. Tutto ciò mi ha ricordato qualcosa.

Comunque. C'era Jvan Sica con noi, giornalista e curatore di blogs di Salerno. Si è divertito tutto sommato, credo, alternando momenti di paura quando in più riprese è passato un omino che si credeva autorizzato (forse emulo delle ronde novelle promosse e concesse dal governo) a incazzarsi fino quasi al lmite dell'utilizzo degli arti contro chiunque a suo dire non cantasse.

Un uomo altamente improbabile, se non pienamente discutibile.

Sicchè non ho visto il rigore del pari concesso al Foggia. A onor del vero, non ho capito neanche perchè un rigore l'hanno dato pure alla Pistoiese, eppure c'ero...semplicemente, guardavo altro, molto spesso la Jolly Roger sventolare.


Domenica rivedibile, con strascichi tuttora da risolvere...bof!




venerdì 30 gennaio 2009

Miguel Torga, Diario IV


In mancanze di mie parole in presunta libertà, ne ho tradotte di terzi.


"Tudo vale a pena, se a alma nào è pequena"


"Si scrivano tutti i romanzi rosa che si vuole, si dica quello che si voglia: l'umanità non ha ottimismo nè speranza. Dietro ogni parola di buona volontà, di ogni gesto d'amore, di ogni atto solidale, si nasconde una contraddizione e un'impossibilità. L'uomo si impaurì non solo davanti alle forze esterne ma anche davanti a sè stesso. IL DITTATORE DI OGNUNO DI NOI VIVE IN NOI. Non c'è uomo oggi nel mondo che a ogni fine giornata non abbia un crimine che gli rode la coscienza: la villania di aver adulato un superiore, l'umiliazione di non aver preso parte ad una protesta, il disonore di aver applaudito una bugia."

martedì 30 dicembre 2008

Fields of Athenry


By a lonely prison wall,

I heard a young girl calling

Michael, they have taken you away,

For you stole Trevelyan's corn,

So the young might see the morn.

Now a prison ship lies waiting in the bay.


[Chorus:] Low lie the fields of Athenry

Where once we watched the small free birds fly

Our love was on the wing

We had dreams and songs to sing

It's so lonely round the fields of Athenry.


By a lonely prison wall,

I heard a young man calling

Nothing matters, Mary, when you're free

Against the famine and the crown,

I rebelled, they cut me down.

Now you must raise our child with dignity.


[Chorus]


By a lonely harbor wall, she watched the last star falling

As the prison ship sailed out against the sky

Sure she'll wait and hope and pray, for her love in Botany Bay

It's so lonely round the fields of Athenry.

lunedì 22 dicembre 2008

La passione stratificata

Ad avere una poste pay, sarebbe stato senz'altro diverso. Bloccato in casa da questa strana bestia che è un misto di influenza e bronchite (come dice mammà), lottando per tenere buoni i neuroni che mi volevano vestito e sceso di corsa allo Jacob per Crotone-Foggia. Sicchè, ho provato a cercare il match in streaming, scoprendo che ContoTv copre questo web-servizio al costo di 5 euro. Basta avere una ricarica prepagata o una carta di credito. Purtroppo, non posseggo entrambi, o meglio, la mia poste pay ha solo debiti...quindi, non fa testo.
Così, accendo RadioNova, e ascolto il Didonna...mentre in streming guardo un non orribile West Bromwich-Manchester City.
Al 35' del primo tempo mi sono addormentato. E qui non c'entra la bravura del cronista, o la mediocrità della partita; è un concetto...la partita della TUA squadra è qualcosa da vivere e condividere con quanta più gente la pensi come te. Anche in Tv, se proprio allo stadio non si può.
Già rimpiango perfino Foggia-Ternana, domenica scorsa, quando nostro malgrado abbiamo appreso che il tifo era in "sciopero" e che quindi probabilmente la partita l'avremmo vista davvero senza cantare. Il grado di emozione non è neanche paragonabile. Quando oggi mi sono ripreso dalla pennichella, avevamo perso 1-0, risultato finale...la cosa, però, mi ha lasciato quasi indifferente. Io questa partita non l'ho vissuta, quindi è come se non si fosse giocata.

sabato 16 agosto 2008

O, l'impia di Pechine? si!

Scesero dall’autobus ebbri di felicità. La luminosità del sole, che si stendeva chiarissima su tutta la piazza, rendeva difficile se non problematico alzare lo sguardo oltre la misura d’uomo. Se non altro si potevano ammirare in tutta la loro storicità le piastrelle di marmo che formavano la piazza medesima, un enorme spazio di circa 100 metri di lato delimitato da palazzi rinascimentali e romanici che ospitavano le sedi istituzionali, una chiesa gotica, e un tribunale in puro stile ellenico. Al centro della piazza, un obelisco raffigurante Silvius IV, con la sua divisa da Re del Parlamento ed avvolto addosso una toga sul modello romano. A fianco, ma non troppo vicino per non innervosire i vigili, al momento tuttavia assenti, un chioschetto ambulante che vendeva panini, bibite, birre, patatine e d’estate pure gelati. Lo trascinava un signore di Pozzuoli.
L’autobus aveva fatto capolinea, fermandosi sul lato destro della strada che fiancheggiava la piazza, la quale era al momento sprovvista di nome perché una riunione dei Vertici della Città ne stava decidendo la prossima intitolazione.
I passeggeri erano scesi, altri erano già saliti, in attesa che il conducente fumasse le sue due sigarette nei dieci minuti di sosta, per sfuggire al caldo mattutino, visto che il mezzo privato a funzione pubblica era dotato del moderno sistema di comfort denominato “aria condizionata”.
Terminate in fretta le sigarette, e con una sete non indifferente, Ciro Cerla, l’autista, risalì sulla vettura mettendola in moto, e questa si avviò proseguendo sulla strada, lasciando che la vista della piazza fosse appannaggio dei soli specchietti retrovisori. In particolare, di quello di destra.
- Ma che scoppiato! – disse il signore di Pozzuoli, senza che nessuno potesse ascoltarlo, e continuò poi pensando fra sé: “si fosse fumato una sigaretta di meno, o al limite fumando e camminando insieme, sarebbe arrivato da me, si comprava l’acqua e stavamo tutti felici. Decisamente uno scoppiato. TSK!”.
Camminavano per la piazza ebbri di felicità. Di cosa esser felici, visto il caldo, visto che non c’era un metro quadro d’ombra né una panchina per sedersi, non lo sappiamo ancora. Loro intanto, camminavano. Ad un certo punto, però, come colti da raptus collettivo, o da sincronismo preprogrammato, ecco che tutti insieme cacciarono dalle loro borsette, tasche, comunque sia vani portaoggetti a portata di persona, degli strumenti tecnologici capaci di catturare dentro di sé l’immagine della realtà semplicemente premendo un bottone o al limite due; tali gad-getz erano definiti “macchine fotografiche digitali”. E, disperdendosi con ordine nella piazza, ma a macchia d’olio, ognuno con la sua prospettiva, ciascheduno godendo della visuale che più gli aggradava, o che si erano precedentemente imposti, iniziarono a pigiare freneticamente sui suddetti bottoni delle macchinette; e più pigiavano, più sorridevano.
Quando si accorse di loro, anche il signore di Pozzuoli iniziò a sorridere.
- Ecco i miei polli! - disse il signore di Pozzuoli, senza che nessuno potesse ascoltarlo, e continuò poi pensando fra sé: “fotografate, fotografate pure, che quando meno ve l’aspettate la canicola di questo compagno sole scioglierà voi e i vostri telematici gingilli…e lì casca l’asino!”, e sorrise per via del detto proverbiale che aveva elucubrato. “Ve li devo triplicare i prezzi, ve li devo! UECK!”. Sorrise, ritornando subito serioso per motivi che non stiamo qui a indagare né tantomeno a sindacare. Il signore di Pozzuoli, per quanto si può intuire non proprio una persona a modo, avrà pur diritto ai cazzi suoi.
Ed è pur vero che la sapeva lunga, il marpione. Difatti, dopo tonnellate di clic, litri e litri di sorrisi, dai volti delle persone ebbre di felicità cominciarono ad uscire litri e litri di sudore. Senza scomporsi, e soprattutto senza mai smettere di sorridere, si radunarono in gruppo in un formica-style, e, indicato il chiosco con la punta dei loro diti indici, lo circondarono nel breve volgere di qualche secondo. Lo stesso tempo che fu necessario agli individui presenti nel palazzo rinascimentale, tutti vestiti in maniera uguale, con delle varianti per quanto riguarda le cravatte e le tonalità del grigio o del blu della “divisa”…dicevamo, lo stesso tempo che codesti signori impiegarono per accordarsi sul nuovo nome della piazza. Accordo unanime scaturito da motivazioni tutt’altro che etiche o morali. Comunque, non essendo noi presenti all’assemblea preposta a questo compito, resta chiaro come le nostre non siano altro che malelingue. Il dato di fatto è che la piazza aveva un nome, e quindi d’ora in poi dovremo stare attenti a scriverla con la lettera maiuscola; non sia mai che qualcheduno erudito se ne voglia. Tuttavia, l’ufficializzazione del nome sarebbe arrivata solo nel primo pomeriggio, e non essendoci giornalisti o civili presenti all’assemblea oltre ai legislatori, è chiaro che ci toccherà aspettare.
Quasi quasi, facciamo un salto anche noi dal signore di Pozzuoli, magari una birra e un panino e se siamo fortunati ci scappano pure due chiacchiere. Ovviamente, però, dobbiamo aspettare che i sorridenti di felicità abbiano terminato di essere allegramente spolpati dalla vecchia canaglia puteolana.
Nel frattempo, leggerò “The rime of the Ancient Mariner” di Samuel Taylor Coleridge, in inglese, perché rende di più, e in piedi, perché panchine in piazza non ce ne sono, come vi dicevo poc’anzi.
It is an ancient Mariner,
And he stoppeth one of three.
«By thy long grey beard and glittering eye,
Now wherefore stopp’st thou me?

The Bridegroom’s doors are opened wide,
And I am next of kin ;
The guests are met, the feast is set:
May’st hear the merry din.»

He holds him with his skinny hand,
«There was a ship,» quoth he.
«Hold off ! unhand me, grey-beard loon !»
Eftsoons his hand dropt he.

He holds him with his glittering eye—
The Wedding-Guest stood still,
And listens like a three years’ child:
The Mariner hath his will.

The Wedding-Guest sat on a stone:
He cannot choose but hear;
And thus spoke on that ancient man,
The bright-eyed Mariner.

A me questa ballata piace tantissimo, ma torniamo a noi, anche perché questo è solo l’inizio…della ballata, che è lunghissima e non eravamo qui per questo.
Gli uomini felici si dileguarono ebbri di felicità dal chioschetto, lasciandolo praticamente privo di mercanzie alimentari e rinfrescanti. In cambio, avevano reso ebbro di felicità il signore di Pozzuoli, che pian pianino, sorridendo, si allontanava dalla sempre più afosa piazza (possiamo permetterci ancora di usare la minuscola).
- Che bell’affare! - disse il signore di Pozzuoli, senza che nessuno potesse ascoltarlo, e continuò poi pensando fra sé: “Grazie alle mie scaltre doti di imbonitore e venditore potrò ben concedermi una giornata al mare”.
Sicchè, ahinoi, niente panino e birra, niente chiacchiere, niente di niente. E allora me ne torno a casa e mi cucino un bel piatto di spaghetti al sugo di basilico, due birre fresche e poi una meritata pennichella per superare con facilità le calde ore del primo pomeriggio.

martedì 22 luglio 2008

Verso Il Tutto Tranne Il Mostrarsi Affranto

Alcuni giorni or sono, un amico, più precisamente un libraio, mi chiese di scrivere un pezzo sul vittimismo. La cagione stante nel mio voluto sentirmi vittima, a scopi puramente ironici, nel con lui e circostanti genti relazionarmi.
Nel raccontarle ciò, una parte del mio cuore ha fortemente riso, in virtù del mio a tratti solito sfogarmi con lei in maniera, diciamo così, autocommiserativa, per scopi non puramente ironici. La qual cosa, a ben vedere e ad ovvia ragione, la mandava per dirla così, "su tutte le furie". Passati quindi una diecina (non errore di battitura, bensì arcaismo, nda) di giorni, riflettendo su cosa scrivere e sul comportamento serioso che tanto snervare facea (altro arcaismo, si vede che oggi mi sento antico) suddetta sezione cardiaca, mi sono gettato in codesta nuova fase, in cui a scanso di equivoci, son convenuto con il sottoscritto che fosse meglio mettere da parte tali atteggiamenti, così detti "vittimistici", vuoi seri o faceti. Sicchè da un post sul vittimismo, mi ritrovo a passare ed a scrivere di questa intenzione in un post "post-vittimistico". Il che taglia la testa al toro.

p.s. Avendo quindi bandito, o se vogliamo, ucciso il vittimismo, si può dire che questo sia diventato vittima di un vittimista?